Vicinanza della prova nel diritto bancario - Cass. Civ. n. 24051 del 26/09/2019

La disciplina generale sull’onere della prova è dettata dall’art. 2697 Cod. Civ. e, come sancito dalla Suprema Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili, sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001, contemperata dal principio di vicinanza della prova in tema di inadempimento. Tale sentenza aderì all’orientamento giurisprudenziale allora minoritario, secondo il quale si tendeva a “ricondurre ad unità il regime probatorio da applicare in riferimento a tutte le azioni previste dall’art. 1453 c.c., e cioè all’azione di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno da inadempimento richiesto in via autonoma […] Altre decisioni hanno ribadito che il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale è identico, sia che il creditore agisca per l’adempimento dell’obbligazione, sia che domandi il risarcimento per l’inadempimento contrattuale; in entrambe i casi il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l’esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l’inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell’adempimento”.

Ciò nonostante, l’applicabilità di tale principio di inversione dell’onere probatorio, non ha trovato applicazione omogenea e, fors’anche, diffusa per le azioni di accertamento negativo promosse dal correntista bancario laddove questi contesti la mancata sottoscrizione di un regolare contratto anche alla luce dell’infruttuosa richiesta di una copia formulata alla banca, tenuta alla conservazione ed alla consegna di una copia conforme ai sensi degli artt. 1175, 1374 e 1375 c.c.[1].

La stessa Cassazione ha ribadito, in numerose occasioni[2], l’inapplicabilità del principio di vicinanza così motivando nella sent. n. 17923/2016: “[…] il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall’obbligo richiamato dall’art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, “I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”; […] il ricorrente, da un lato, afferma che tale consegna non sia avvenuta (ciò che avrebbe dovuto costituire oggetto di una apposita e tempestiva documentata istanza all’Istituto di credito)[…].

Sullo stesso solco, nutrita è la recente giurisprudenza di merito. Tra le altre: Trib. di Genova, n. 441/2018; Trib. di Roma, sentenze nn. 383/2018 e 1818/2018.

In un siffatto scenario assume rilievo la recente sentenza della Cassazione Civile n. 24051 del 26 settembre 2019, laddove prevede: se è vero che anche nelle azioni di accertamento negativo l’onere della prova incombe sull’attore, tuttavia quanto ai fatti negativi (nella specie, inesistenza di convenzione scritta di interessi ultralegali e di previsione contrattuale sufficientemente specifica di commissioni di massimo scoperto) trova applicazione il principio di vicinanza o inerenza della prova, che ribalta l’onere sul convenuto (principio teorizzato frequentemente nella giurisprudenza di legittimità e applicato anche dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 13533 del 30/10/2001 sulla prova dell’inadempimento), decisione che si auspica dia il là ad un orientamento consolidato, abbattendo una barriera che spesso, irragionevolmente, vanificava le contestazioni afferenti la nullità per assenza di pattuizione scritta, su azione del correntista, ai sensi e per gli effetti dell’art. 117 T.U.B..

dott. Stefano Chiodi

Analista bancario e finanziario - C.T.P. e C.T.U.



[1] In tal senso vedesi: Cass. Civ. n. 11004/2006; Corte d’Appello di Milano, sent. 1796/2012; Trib. di Monza, sent. n. 95/2016.

[2] Cass. 7.5.2015, n. 9201; Cass. n. 18487/2003; Cass. n. 23229/2004; Cass. n. 5162/2008; Cass. n. 7962/2009; Cass., S.U., n. 18046/2010; Cass. n. 9099/2012; Cass. n. 16917/2012; Cass. n. 6511/2016.


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