La tipizzazione del leasing e le violazioni UE

Con la tanto attesa tipizzazione del leasing, intervenuta con la Legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, il legislatore ha posto fine alla bad practice del concedente (banca o intermediario finanziario) di applicare, nell’ipotesi di risoluzione per grave inadempimento, una commissione che, oltreché implicita, spesso risultava eccessivamente onerosa, al punto da rappresentare l’ipotesi di lucro preferibile per l’ente finanziatore.

Paradossalmente, sinora, è passata sotto traccia l’evidenza che nel porre rimedio a tale distorsione, il legislatore si è reso responsabile di un grave caso di iniquità e, fors’anche, di illegittimità della norma, così ben accolta dai giuristi e dallo stesso mercato.

Al comma 137, fornisce la definisce di “grave inadempimento”, dettando un limite minimo al numero di canoni insoluti affinché possano considerarsi motivo di risoluzione, graduato distinguendo tra leasing immobiliari ed altre tipologie (rispettivamente sei e quattro canoni mensili o equivalenti), ponendo così fine alla diffusa prassi contrattuale per la quale anche solo il mancato pagamento di un canone realizzava giusta causa di risoluzione.

Al successivo comma 138, ancor più importante, vengono definiti i diritti del concedente nell’anzidetta ipotesi, con il pregio di aver ricondotto  i canoni a scadere alla mera sorte capitale. La prassi comunemente adottata di attualizzare i canoni non scaduti ad un tasso nettamente inferiore a quello di formazione della rata, infatti, realizzava la commissione implicita di cui si è già detto e la cui misura, sovente, era stata censurata da un’avveduta (e nota) giurisprudenza.

V’è da dire, tuttavia, che una sorta di tipizzazione di questo contratto era stata anticipata dalla Legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016), agli punti dal 76 all’81, in merito al c.d. leasing abitativo, con la quale si prevede l’accesso a questa forma di finanziamento ad opera dei consumatori per l’acquisto dell’abitazione principale: norma che, tuttavia, ha legittimato la commissione implicita in argomento, contemplandola al punto 78 (nell’ipotesi di risoluzione, “il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale d'acquisto”).

Per esplicita previsione della Legge n. 124/2017 (art. 1, comma 140) “omissis… si applica, in caso di immobili da adibire ad abitazione principale, l’articolo 1, commi 76, 77, 78, 79, 80 e 81, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.

Scientemente si è previsto che dalla nuova e maggior tutela del conduttore nelle ipotesi di grave inadempimento venga escluso il contraente più debole, il consumatore, in aperta violazione dell’art. 38 sulla Protezione dei consumatori, della Carta dei diritti Fondamentali dell’U.E. (nota anche come Carta di Nizza) che al pari dei Trattati, costituisce costituzione materiale a cui l’ordinamento interno dovrebbe uniformarsi e, non di meno, mettendo in discussione anche la “tenuta costituzionale” della norma in commento.

Scendendo di rango, la previsione del comma 78, parrebbe essere in netto contrasto anche con l’art. 4, paragrafo 2, della Direttiva 93/13/CEE sui “contratti e clausole abusive” su cui recentemente si è espressa anche la Corte di Giustizia UE, che con la Sentenza del 20 settembre 2018 ribadisce (relativamente ai mutui ma assumibile in via analogica), che le clausole contrattuali devono essere formulate in modo chiaro e comprensibile affinché le decisioni del consumatore possano essere assunte con prudenza e piena cognizione di causa.

dott. Stefano Chiodi

Analista bancario e finanziario - C.T.P. e C.T.U.

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