L'indicazione del regime di capitalizzazione dei mutui e dei finanziamenti ai fini della determinatezza delle condizioni economiche

I regimi di capitalizzazione semplice e composta si differenziano per la diversa modalità di formazione degli interessi. Ormai è noto, a chi si occupa di contenzioso bancario, che a attribuire l’appartenenza di una qualsiasi formula ad uno dei due regimi, sia sufficiente osservare come è trattato il fattore tempo: se questo è posto al moltiplicatore, si sarà di fronte ad un calcolo in capitalizzazione semplice, se invece il tempo compare all’esponente, si tratta di capitalizzazione composta.

Banalmente, al fine di meglio percepire la sostanziale differenza, dato un debito per un certo numero di anni, al medesimo tasso di interesse posticipato alla scadenza, in capitalizzazione semplice il totale degli interessi sarà pari all’interesse annuo moltiplicato per il numero di anni (giusto appunto il fattore tempo comparirà come moltiplicatore) mentre, in capitalizzazione composta, l’interesse alla fine di ciascun anno diverrà base di calcolo (capitalizzazione) per gli interessi maturati nell’anno successivo (questo è quello che si ottiene ponendo il fattore tempo all’esponente). Che tale maturazione di interessi su interessi, relativamente ai mutui, equivalga o meno al concetto giuridico di anatocismo sta animando la dottrina, ma non è oggetto qui di analisi. Da quest’ultimo dibattito, tuttavia, è finalmente mersa la consapevolezza diffusa che i due regimi di capitalizzazione producono comunque una diversa onerosità (a parità di qualsiasi altra condizione in regime di capitalizzazione composta matureranno più interessi che in quello semplice) e, ancor più importante, che il piano d’ammortamento francese, pur essendo più frequentemente redatto in regime composto, non esclude che possa esserlo anche in capitalizzazione semplice (si tratterà pur sempre di un piano d’ammortamento a rata costante ad invarianza di tasso, con quote capitali crescenti).

Orbene, alla luce di queste evidenze, nei mutui, come in qualsiasi forma di finanziamento rateale a questo riconducibile (vedesi finanziamenti variamente nominati), la sola indicazione del T.A.N. e del piano d’ammortamento c.d. francese, non esaurisce le indicazioni necessarie al fine di considerare determinato il contratto, potendo questo essere redatto in ambo i regimi di capitalizzazione. Sul punto si è espressa una interessante sentenza del Tribunale di Cremona, la n. 227 del 28 marzo 2019, che qui si prende a spunto per ripercorrere, in punta di diritto ed in tecnica, la questione della determinatezza e determinabilità delle condizioni economiche di un contratto di mutuo.

Invero, nella su citata sentenza non si percorre esattamente la logica su esposta, dandosi ancora per scontato che l’ammortamento francese equivalga assiomaticamente ad un piano in regime composto: ad esser censurata è la mancata specificazione che nell’applicare il T.A.N.[1] pattuito a tale piano francese significhi produrre (grazie alla capitalizzazione composta) un maggior volume di interessi rispetto al regime semplice (al quale equivale la definizione codicistica di interesse). Infatti, motiva <<Di fatto, l’applicazione del tasso nominale annuo convenuto in contratto senza alcuna specificazione del regime di calcolo dell’interesse determina una sottostima dell’onere posto a carico del mutuatario …. omissis … al quale sfugge la dinamica esponenziale del tasso composto>> questione questa più afferente alla formazione del consenso che alla determinatezza delle clausole contrattuali. In tal senso, appare tecnicamente più conferente con l’indeterminatezza l’evidenza che senza esplicita previsione il medesimo T.A.N. “genericamente” convenuto per il piano d’ammortamento francese possa, alternativamente, produrre due diversi piani a seconda del regime adottato: da qui l’indeterminatezza della pattuizione.

Ancora: <<Poiché gli interessi prodotti dall’utilizzo dell’ammortamento alla francese sono superiori (in quanto risentono della capitalizzazione insita nella formula strutturata sulla produzione di interessi in misura esponenziale), sarebbe sufficiente, ai fini della determinatezza, che fosse indicata in contratto l’aliquota (più alta) corrispondente agli interessi espressi in regime semplice, che chiarirebbe qual è l’effettivo prezzo (limitatamente al tasso) del contratto>>.  In buona sostanza, ci si riferisce al concetto di tassi equivalenti: dato un T.A.N. pattuito, considerato “semplice”, la banca dovrebbe applicare un tasso composto di minore entità di modo che il monte interessi equivalga. Tale teoria, tuttavia, non convince, poiché se alla scadenza del finanziamento potrebbe esservi indifferenza finanziaria, altrettanto non potrà dirsi nel corso di esecuzione del contratto: diversa sarà, infatti, la progressione dell’ammortamento del capitale (e quindi del debito residuo). Prendere il monte interessi quale unico discrimine e non anche la progressione della sua formazione, è approccio metodologicamente scorretto ai fini dell’individuazione del costo del finanziamento.

Se pur in maniera tecnicamente perfettibile, si giunge alla condivisibile conclusione secondo la quale << omissis … la clausola relativa al tasso di interesse contenuta nel mutuo, da un punto di vista giuridico, non soddisfa il requisito della determinatezza o determinabilità del suo oggetto, richiesto a pena di nullità dalla disciplina dei contratti ex artt. 1418, 1346 c.c., come costantemente affermato, in materia di mutuo, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. n. 12276/2010, secondo la quale “affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse”)>>.

Non meno importante appare, tuttavia, la censura di indeterminatezza derivante dalla previsione dell’art. 6 del contratto secondo il quale <<la quota capitale rimanga la stessa indicata nello sviluppo del piano di ammortamento allegato al contratto, a prescindere dal fatto che la quota interessi possa cambiare in ragione della variabilità del tasso derivante dal parametro di indicizzazione. Il che si pone in contrasto con il “principio finanziario basilare”, affermato dallo stesso C.T.U., secondo il quale “la sommatoria dei valori attuali delle rate debba essere esattamente pari al capitale finanziato”. E’ evidente infatti che, per mantenere le condizioni di chiusura finanziaria, occorre che la somma delle quote capitali sia pari al capitale erogato, così come la somma delle rate attualizzate al tempo iniziale. Ma siccome le singole quote capitale sono già fissate (il che significa che anche il capitale residuo dopo ogni pagamento è pure già fissato, in quanto dipendente dal rimborso della quota capitale), è impossibile che il tasso di interesse corrisponda a quello determinato con l’applicazione dei criteri pattuiti in contratto>>.

Anche in questo caso la via argomentativa scelta (dal C.T.U.) potrebbe risultare più snella e comprensibile, pur nel rigore delle conclusioni: se in un contratto si prevede l’adozione di un piano d’ammortamento francese e, quindi, a rata costante, non può prevedersi che non vengano rideterminate le quote capitale in conseguenza di una variazione di tasso. Infatti, ad ogni variazione di quest’ultimo, affinché la rata sia costante (ad invarianza successiva del tasso) dovrà essere ricalcolata la rata, la sua componente interesse ma anche quella capitale, dando vita ad una nuova progressione di ammortamento del debito. Mantenere invariate, pari a quelle corrispondenti al T.A.N. iniziale, le quote capitale, significherà produrre una diversa sommatoria di interessi ma anche (da qui l’indeterminatezza) dover optare se calcolare su questa base gli interessi abiurando alla costanza della rata o, per mantenere questa caratteristica peculiarità del piano d’ammortamento francese, ricalcolare anche le quote capitale contravvenendo a tale pattuizione. Si tratta di due condizioni incompatibili che altro non possono che configurare l’indeterminatezza ed indeterminabilità del contratto, con le conseguenze innanzi viste.

dott. Stefano Chiodi

Analista bancario e finanziario - C.T.P. e C.T.U.


[1] T.A.N. = Tasso Annuo Nominale

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