BASILEA 3: da limite alla ripresa a insidia per l'accesso e mantenimento del credito alle Imprese

I - PREMESSA

GOOGLE, leader dei motore di ricerca: digitando “Basilea”, per numerosissime pagine, si trovano informazioni geografiche, turistiche e calcistiche, tutto ciò, ben prima del primo link dedicato all’accordo internazionale, emanazione del G10.

Non fosse per la pubblicità, non verrebbe nemmeno il dubbio che a prendere il nome da questa bella cittadina svizzera, di circa 170.000 abitanti, possa essere uno dei “peggiori spettri” che incombe sulle aziende ogni qualvolta approvano e depositano il bilancio d’esercizio.

Nella realtà, nella community degli Uomini d’Azienda e dei Professionisti in ambito economico-giuridico, tale nome è ormai talmente tanto conosciuto e temuto, da far dimenticare, anche a chi era “brevetto” in geografia, che esiste la città, escludendo aprioristicamente che faccia venir voglia di fare le valige per una gita all’insegna della cioccolata e del “formaggio con i buchi”: a sentir proferire quel nome, ormai, si contorcono le budella e la fame svanisce.

Intendimento di questo scritto sarebbe, se pur possa apparire una “causa persa”, portare un po’ di pace d’animo nei confronti di Basilea, sia che la si voglia considerare turisticamente parlando, sia facendolo divenire “conosciuto” parametro di valutazione del merito creditizio.

II – INTRODUZIONE ALLA CONOSCENZA

L’origine: brevi cenni

Visto che tanto “impatta” sulle Aziende e sul loro futuro,  pare il caso di comprendere da dove derivi questa “regolamentazione”, come si è evoluta e se si è cristallizzata.

Trova la propria origine (nel 1988) nell’esigenza dei Paesi appartenenti all’allora G10, di regolamentare la solidità del Sistema Bancario, al fine di scongiurare forti crisi sistemiche, introducendo un rapporto tra credito concesso e patrimonio detenuto “a riserva”, il c.d. patrimonio di vigilanza (doveva ammontare ad almeno l’8%).

A distanza di 16 anni (nel 2004) viene raggiunto un nuovo accordo, che prende, per l’appunto, il nome di Basilea 2, entrato in vigore nel 2007: principale novità fu quella di rapportare il patrimonio di vigilanza, da accantonare  per ciascuna operazione di credito, con la rischiosità del credito concesso (non merita entrare ulteriormente nel dettaglio).

Quello che forse è d’obbligo sottolineare, a costo di suscitare le ire dei sostenitori tout court delle banche, è che tale “riforma” apparentemente ragionevole, fu invece per il Sistema Bancario come trovare l’uovo di Colombo: con la scusa di profilare la rischiosità dei clienti,  con l’avvento delle cartolarizzazioni e della finanza derivata (ambo le operazioni si prestavano a cedere il proprio “rischio” magari abilmente mascherato) si dettero alla “pazza gioia”, assumendosi grandi rischi, come nel caso dei mutui sub-prime. Insomma, con Basilea 2 si posero o quanto meno consolidarono le basi della crisi sistemica che dura ancor oggi.

In piena crisi, nel 2010, arriva la svolta, rappresentata da Basilea 3, la quale introduce limiti fortemente restrittivi: la profilazione della rischiosità del Cliente diviene obbligatoria e rigorosa e, soprattutto, restrittiva (del credito) perché, di fatto, trasla sui Clienti tutte le limitazioni poste al sistema bancario, che colmo di “titoli spazzatura” (le famose cartolarizzazioni ed i derivati) si vede obbligato a continui accantonamenti a riserva per future (presto diventate attuali) perdite.

Conseguenza fu che nel 2009 il Mercato Interbancario smise di funzionare, soppiantato dalla B.C.E. (e dalla F.E.D. - Federal Reserve negli U.S.A.) che da prestatore di ultima istanza (ultimo interlocutore delle banche nel reperire liquidità quando non la ottenevano scambiandosela nel Mercato Interbancario) divenne l’unica fonte di liquidità.

In quegli anni si diffuse il significato di credit crunch (stretta creditizia) ed oggigiorno, ancora, si registrano le conseguenze sull’economia reale (recessione/stagnazione ecc.).

Benché si possa definire, Basilea 3, una vera e propria “cura d’urto”, a distanza di anni, non è ancora riuscita a nutrire gli effetti sperati, tant’è che è in “cantiere” Basilea 4: il timore che nuovi parametri restrittivi, imposti al Sistema Bancario, possano avere un ulteriore impatto negativo sull’economia reale è vivido, ed è ormai opinione ampiamente diffusa (o quanto meno è quella dello scrivente) che senza una ripresa del credito alle famiglie ed alle imprese, l’economia non uscirà dall’attuale stagnazione .

 

Adozione di Basilea 3 da parte delle banche

La maggior parte degli Istituti hanno recepito gli obblighi introdotti da Basilea 3 mediante meccanismi di profilazione, diciamo così, “personalizzati” sotto il controllo delle Autorità Centrali (ci furono circa tre anni di vacazio per uniformarsi e rendere le novità pienamente operative: dal 2004 al 2007).  Ciò comporta che il rating attribuito alla medesima Azienda ad opera di più banche, inevitabilmente, sconta delle differenze, se pur contenute.

Come vedremo nel seguito, una strategia possibile (piuttosto in uso), è quella di farselo dichiarare dalle singole banche e concentrarsi sul differenziale, cioè su tutte le operazioni aziendali e contabili che potrebbero variarlo, in un senso o nell’altro; alternativa, auspicabile, è quella di calcolarlo con l’algoritmo “base” (che comunque è rappresentativo delle valutazioni che le diverse banche potranno fare).

Evidentemente, pur rappresentando un pilastro nella valutazione di merito creditizio, non esclude tutte le altre tecniche di analisi del rischio.

 

Basilea 3: limite all’erogazione

Il rating dell’azienda costituisce, come accennato, uno dei diversi criteri di analisi di merito creditizio a cui il Sistema sottopone le Aziende: ciò nonostante, ha un valore vincolante ed a qualsiasi “forzatura” corrisponde un forte criticità nella filiera decisionale dell’Istituto erogatore. Esperienza insegna che un minimo di flessibilità viene messa in campo per posizioni già aperte, dove la Banca deve gestire al meglio il proprio credito, ma sulle nuove erogazioni, corre il rischio di divenire preclusivo.

Un deterioramento del giudizio, specie per i crediti a breve periodo (a revoca o a scadenza ravvicinata) facilmente implica richieste di rientro dalle esposizioni, creando possibili tensioni finanziarie (anche dalle conseguenze drammatiche) e comunque un freno allo sviluppo dell’azienda, se non della sua normale operatività.

Deve essere visto, pertanto, come condizione necessaria (anche se non sufficiente) per il mantenimento del credito: stante ciò, non gestirlo come una variabile strategica, sulla quale porre la dovuta attenzione e risorse, diviene un atto di irresponsabilità del managment.

 

III – FORMAZIONE DEL RATING

Riassunte brevemente le origini e la funzione, nonché la conseguente pregnante esigenza di agire consapevolmente in funzione di mantenere o migliorare la capacità creditizia dell’Azienda, entriamo nel “cuore” delle logiche di Basilea 3.

Innanzitutto va precisato che il rating  viene determinato partendo dai dati “ufficiali” dell’Azienda, cioè dai bilanci depositati, che gli Istituti di Credito  acquisiscono direttamente dalla C.C.I.A.A.

L’orizzonte temporale dell’analisi dipenderà dalla scelta operata dalla Banca per ciascuna pratica: solitamente riguarda gli ultimi tre esercizi chiusi e per i quali il bilancio è depositato.

Quindi il tutto prende il via dal bilancio riclassificato C.E.E., il quale viene ulteriormente riclassificato dalla Banca secondo il criterio a Valore Aggiunto.

Questo primo passaggio, se pur automatizzato, non è scevro da personalizzazione ad opera degli Istituti: se è vero che il criterio a Valore Aggiunto è l’unico coerente con lo schema civilistico di bilancio, altrettanto è evidente che soffre di alcuni limiti analitici, per i quali, talvolta, si registrano delle “licenze tecniche” rispetto allo schema (come accennato la profilazione della rischiosità del Cliente non corrisponde ad un metodo rigido ma ad una prassi che ciascun Istituto si è dato nel rispetto della regolamentazione).

Il rating esprime, mediante una classificazione per “categorie” (rappresentate da lettere e +), il grado di rischiosità che si ricava dallo scoring: detta in altro modo, lo scoring è il risultato di un algoritmo (quindi un numero), mentre il rating ne rappresenta il giudizio equivalente.

 

Indici che compongono lo scoring

Lo scoring si compone di quattro indici, ciascuno dei quali può contribuire con un risultato che va da 0 a 3 punti: ne consegue che lo scoring totale può assumere, essendo la somma dei quattro, valori tra lo 0 e 12.

Come avremo modo di considerare, essere oltremodo deboli, in anche solo uno di questi indici, può compromettere seriamente il risultato finale.

 

I - Grado di copertura delle immobilizzazioni nette

(Patrimonio Netto + Passività a M/L termine) / Immobilizzazione Nette

valori “target” dell’indice: da 0,75 a 1,5

II - Grado di indipendenza finanziaria

Patrimonio Netto / Capitale Investito

valori “target” dell’indice: da 0,05 a 0,2

III - Incidenza degli oneri finanziari

Oneri Finanziari / Valore della Produzione

valori “target” dell’indice: da 4 a 1

IV - Liquidità generata dalla gestione

(Risultato d’esercizio + Ammortamenti + Accantonam. e Svalutazioni) / Capitale Investito

valori “target” dell’indice: da 2 a 5

 

Il valore assunto da ciascun indice, si ottiene dall’interpolazione lineare dei valori “target”, rispettivamente corrispondenti ad uno scoring pari a 0 e 3.

A titolo esemplificativo, se l’ultimo indice fosse pari o inferiore a 2, lo scoring attribuito sarebbe pari a 0; parimenti, per valori pari o superiori a 5, lo scoring sarebbe pari a 3.

Ne deriva, come già anticipato, che lo scoring dell’Azienda potrà assumere valori dallo 0 a 12 (dove 12 corrisponde al miglior valore): mediante una semplice tabella, si ricaverà il rating di Basilea 3 espresso in lettere.

L’obiettivo di questo scritto non è quello di rappresentare una guida operativa sul calcolo, per il quale esiste già una copiosa letteratura ed una grande varietà di servizi, ma uno spunto di riflessione su alcuni aspetti peculiari e “critici” di tale criterio di profilazione, che si proverà a sviluppare nel seguito, senza la pretesa di esaustività.

 

IV - SPUNTI DI RIFLESSIONE

L’esigenza di rendere generali ed astratte le “regole”, quindi applicabili all’universalità delle ipotesi, comporta che, in taluni casi, producano degli effetti “distorti”, dei “malfunzionamenti”. Nel caso di Basilea 3, che non tiene conto del settore economico di appartenenza, non risulta difficile immaginare la difficoltà di individuare un metro comune di valutazione del rischio, scevro da distorsioni.

L’indice del Grado di copertura delle immobilizzazioni nette è, senza ombra di dubbio, esempio lampante di inadeguatezza della struttura di valutazione di Basilea 3.

Infatti, per tutte le Aziende che, per la loro attività, non necessitano di scorte di magazzino, peggio ancora se rientranti nella categoria di cash absorber (esempio tipico, sono le Aziende del Terziario, soprattutto se contraddistinte da un elevato grado tecnologico), questo indicatore produce degli effetti fortemente penalizzanti, se non proprio distorti.

L’attribuzione di 3 punti di scoring avviene con un indice pari ad 1,5, quando sappiamo che, per buona regola aziendalistico-finanziaria, è inopportuno che il Patrimonio Netto e le Passività a M/L periodo  finanzino impieghi a breve periodo, se non parte del magazzino. Ipotizzando un siffatto  equilibrio (equivalente ad un valore dell’indice pari ad 1, cioè con totale copertura delle Immobilizzazione Nette, supposta l’assenza di magazzino) lo scoring attribuito sarà pari a circa 1 (la quasi equivalenza di valore è una coincidenza). Immediata conseguenza è che, per tale tipologia di aziende, pur con un’ottima struttura finanziaria, lo scoring Basilea 3 “perso” per effetto di tale distorsione di funzionamento, sarà pari a 2 punti su 12.

Rimaniamo in tema di Immobilizzazioni Nette: queste, evidentemente, possono incidere pesantemente sul valore del Capitale Investito, che è posto al denominatore del II° e III° indice.

Grossi investimenti, materiali o immateriali che siano, appesantiscono notevolmente i giudizi che se ne ricaveranno in termini di rating: ne consegue che, prima di effettuare operazioni straordinarie, il managment aziendale si dovrebbe preoccupare di reperire le fonti finanziarie poter assolvere alle esigenze di capitale circolante anche dopo l’effettuazione dell’investimento, cioè a rating “deteriorato” (è più facile mantenere il livello di credito ottenuto dal Sistema, piuttosto che aumentarlo in periodi di criticità).

Nel caso di un investimento immobiliare, con intervento significativo del credito bancario, l’aumento conseguente del Capitale Investito, rapportato al Patrimonio Netto, potrebbe deprimere pesantemente la prestazione dell’indice del Grado di indipendenza finanziaria.  Gli oneri finanziari dovuti all’operazione sicuramente concorreranno, con l’aumento del Capitale Investito, nel deprimere il risultato dell’indice Liquidità generata dalla gestione.

La valutazione di sostenibilità dell’investimento dovrebbe essere effettuata anche alla luce di queste conseguenze, perché esperienza insegna che avere un rating non all’altezza, a prescindere da tutte le altre valutazioni (che possono essere anche ampiamente positive), corrisponderà ad un momento di forte criticità non solo per il Cliente, ma anche per la Banca che lo volesse sostenere.

Altra voce di bilancio interessante, per le implicazioni che ne discendono, è la già accennata entità delle Scorte di Magazzino: non trova qui un richiamo diretto ma può giocare un ruolo significativo sull’ammontare del Capitale Investito coinvolto al denominatore di due indici.

Veniamo all’indice Incidenza degli Oneri Finanziari sul Valore della Produzione.

Evidenze empiriche hanno evidenziato che, spesso, nella riclassificazione a Valore Aggiunto gli Istituti di Credito “stressano” la riclassificazione imputando gli “Altri Ricavi” del bilancio C.E.E., a “Proventi (oneri) Gestione Accessoria”, così da ottenere dall’EBITDA un’approssimazione del M.O.L. (Margine Operativo Lordo).  Tale prassi influenza anche l’entità del Valore della Produzione, con un effetto negativo sull’indice considerato, che ha una quantificazione inversamente proporzionale (più basso sarà il valore dell’indice e più alto sarà lo scoring attribuito).

Tale indice, a parere dello scrivente, è ulteriore esempio dell’inadeguatezza del criterio di valutazione di Basilea 3, del tutto disancorato dalle peculiarità dei diversi settori economici.

Anziché soppesare gli Oneri Finanziari con un risultato di tipo economico (es. il M.O.L.), li rapporta al Valore della Produzione, come se tale ultimo valore fosse capace di produrre marginalità in egual misura, a prescindere che si tratti di un bene di consumo o di un genere di lusso: la “barriera” del 4(%) può di fatto essere superata serenamente in molti settori, senza che per questo venga meno la profittabilità dell’Azienda (ma che Basilea 3 penalizzerebbe con una perdita di 3 punti di scoring). Se si ritorna alle considerazioni sopra esposte, di aziende con investimenti di entità importante, pur avendo per ipotesi un M.O.L. ed un risultato d’esercizio apprezzabili, potrebbero trovarsi, grazie a questa distorsione, con un rating Basilea 3 deficitario, che non fotografa la reale situazione di rischiosità del Cliente, con conseguente criticità nel rapporto Cliente/Banca.

Infine, più un pensiero “futurista” che una vera considerazione: l’indice Liquidità Generata dalla Gestione non verrà rivisto nel prossimo futuro come criterio di calcolo, nonostante l’introduzione dell’obbligatorietà del Rendiconto Finanziario quale parte integrante del bilancio, se non con apposita variazione regolamentare; si produrranno facilmente delle asimmetrie in seno alla valutazione complessiva di merito creditizio compiute dalle banche (che sicuramente nella valutazione finale ne terranno conto ma che dovranno scontrarsi con un rating Basilea 3 che la liquidità continuerà a valutarla in modo approssimato).

Con tutto ciò, si è voluto dare un umile contributo nella comprensione delle criticità che possono derivare da questa regolamentazione europea (le considerazioni da potersi svolgere sarebbero innumerevoli, magari anche tipicizzandole per settori economici o trattando tematiche legate alla finanza straordinaria d’Azienda quali fusioni/scissioni, spin-off, rivalutazione dei cespiti ed altre ancora).

 

    dott. Stefano Chiodi

     Analista finanziario

Cons. in finanza d’azienda


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